Il signore dei maglioni

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Pubblicato il: 31.08.2022 17:22
Aggiornato il: 31.08.2022 17:22
Categoria: Avventura
Tag / Parole chiave: solitudine, rivalsa
Valutazione:

Breve sintesi:
Un uomo solitario dedito al lavoro decide di uscire dalla routine della quotidianità prestando servizio in una casa di riposo. Uno degli ospiti gli racconterà una storia che gli cambierà la vita.

Testo

Era una tranquilla estate del 1983. Al tempo lavoravo per otto mesi all'anno come minatore in una cava di marmo, essendo un lavoro molto impegnativo a livello psicofisico avevo i restanti mesi di ferie, quindi, in estate mi trovavo spesso a combattere contro la routine quotidiana. Ero molto solo, a causa del lavoro avevo perso qualsiasi tipo di relazione amicale e sentimentale. Non avendo particolari impegni come vacanze o viaggi avevo voglia di dare valore al tempo libero e di uscire dalla mia comfort zone, decidendo di andare a fare volontariato in una casa di riposo del mio piccolo paese, una struttura che ospitava circa una dozzina di anziani. 

A fronte di questa nuova esperienza ero felice quanto spaventato, del resto non sapevo come pormi con delle persone nuove e nonostante il personale mi avesse dato dei consigli su come rapportarmi, continuavo a sentirmi impreparato. D'altronde, durante l'anno lavorativo, ero spesso da solo e le uniche persone con cui a volte parlavo erano i miei cinque colleghi.

Affrontando i miei timori e presentandomi agli ospiti mi inserii nel contesto con un compito ben preciso, tenergli compagnia. Il personale della struttura mi aveva detto che il dialogo poteva essere una medicina potentissima e per alcune persone era l'antidoto migliore a noia e tristezza. Passarono i primi giorni e mi sentivo sempre più a mio agio, arrivavo al mattino e pranzavo con loro, alla sera prima di andare via li salutavo tutti individualmente. Avevo stretto legami con tutti gli ospiti della casa ma con uno in particolare avevo creato un rapporto veramente forte. Era un uomo di ottant'anni molto riservato e non stava simpatico a tutti, era stato soprannominato per scherzo dagli ospiti  ‘Il signore dei maglioni’ perché anche in estate ne aveva sempre indosso uno. Era particolarmente scontroso nei confronti del  personale infermieristico e si sorpresero molto quando videro che tra me e lui si era creato un legame confidenziale.

Un giorno, uno dei più caldi di quell'estate e dell'anno anche lui fù costretto in maniche corte a causa delle temperature eccessive, gli chiesi del perché di alcune cicatrici sul braccio destro e sinistro che non avevo mai visto, appunto perché sempre coperte. Con fare molto infastidito si coprì entrambe le braccia e cercò di evitare qualsiasi tipo di rapporto con me nei giorni successivi. In vista di questa difficoltà chiesi aiuto ad un'infermiera che non mi seppe rispondere, mi disse però che tutto il personale sanitario aveva vissuto un’esperienza come la mia. Decisi comunque di porgli le mie più sincere scuse, del resto ero stato molto indiscreto mentre lui, con mia grande sorpresa, mi chiese se fossi ancora interessato a sapere del perché di quegli sfregi. Essendo una persona che è sempre stata mangiata dalla curiosità gli risposi di sì e lui iniziò a raccontarmi la sua incredibile quanto triste storia. 

Mi raccontò che, all'età di trentacinque anni, aveva ottenuto il massimo riconoscimento come meccanico ingegnere aeronautico. Rimasto orfano da piccolo e cresciuto in severissimi conventi, trovò la sua rivalsa venendo messo a capo di uno squadrone di meccanici. Avevano il compito di riparare, fare manutenzione e caricare gli armamenti ai velivoli da combattimento in un hangar militare; questo durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Era un team di sedici uomini giovanissimi, l'età media infatti era di ventidue anni, alcuni di loro erano obbligati al lavoro e ricoprivano la carica di semplice aiutante al meccanico mentre certi lavoravano con onore e grinta, il cui obiettivo era quello di creare i migliori armamenti bellici. ‘Il giorno prima potevi essere un bravo giardiniere o macellaio, il giorno dopo ti potevi trovare a lavorare su cose che non avevi mai visto in un posto sconosciuto con persone sconosciute. Oggi il tuo lavoro è questo e fino a ordine contrario tu rimarrai qui’. L’ospite con questa frase mi aveva fatto intendere che se venivi assegnato ad una divisione, ne avresti fatto parte fino a ordine contrario del comandante, che come si è verificato, arrivò solo al termine del conflitto. Nonostante fosse capo ingegnere, leader di sedici persone, doveva comunque sottostare agli ordini del soprastante. Mi spiegò che, essendo in tempo di guerra, non avevano giorni di ferie o di riposo ma c'erano momenti di completa tranquillità e altri di puro caos, finì così che passavano tutto il tempo libero insieme. Mi raccontò di quella volta in cui uno dei meccanici inciampò in un cavo e finì nella adiacente vasca di recupero dell'olio esausto, sporcandosi completamente. Questo come altri eventi si concludevano sempre in una gran risata generale e in un anno il gruppo, divenne ben più di un semplice team di meccanici, viste le difficili circostanze condividevano qualsiasi bene come abiti,  provviste, esperienze ed emozioni. 

Raccontava con nostalgia i bei momenti vissuti, mostrando la sua parte emotiva e sensibile ma essendo solo sensazioni personali sul momento non gli diedi peso. 

L'hangar costituiva un punto strategico militare importantissimo e poteva diventare facile bersaglio di attacchi, tranne una piccola pista di decollo e atterraggio , era una struttura completamente circondata da alberi, per mimetizzarla ancora di più, era stata dipinta con i colori dell'ambiente circostante. Su richiesta del capo ingegnere erano stati costruiti dei bunker antiaereo sul perimetro della struttura, in modo tale che in caso di attacco ci sarebbe stato un posto sicuro dove ripararsi. 

Un giorno come un'altro arrivò al team l’ordine di fare manutenzione a quattro aerei da combattimento di grande stazza. L’ospite mi spiegò che, al tempo, l’esercito aveva in dotazione solamente aerei propulsi dal motore a turboelica, uno dei più rumorosi in assoluto.

Durante l’accensione degli aeroplani, chiunque si trovasse in prossimità di questi senza alcun tipo di protezione dal rumore, rischiava di perdere l’udito in modo permanente.

Per verificare la corretta manutenzione, il gruppo di meccanici, doveva accendere i motori dei quattro velivoli e farli funzionare a massimo regime per un determinato lasso di tempo. Di norma questa operazione sarebbe dovuta essere svolta all’esterno, ma a causa di una forte tempesta di neve, fù eseguita all’interno dell’hangar. Come da norma, vennero indossate le protezioni auricolari e vennero accesi i quattro grossi motori. Ad ogni aereo

erano assegnati quattro uomini, ognuno con compiti diversi. Dopo svariati minuti i motori vennero portati ai massimi giri ma qualcosa non andò secondo i piani, tutti e quattro persero combustibile nello stesso modo andando a sporcare la fusoliera dell'aereo e a lasciare una sorta di pozza per terra. L’ospite, che osservava dalla sua postazione di controllo come da protocollo, mi disse che urlò con tutta la forza che aveva in corpo di spegnere immediatamente i motori. Nulla servì, una scintilla proveniente dal blocco motore andò ad incendiare la chiazza di combustibile che le fece prendere fuoco. Ormai era troppo tardi, la palla di fuoco raggiunse immediatamente i serbatoi. La vicinanza dei velivoli fù il motivo della grande esplosione, che spazzò via il team e gli aerei, scagliando schegge di metallo incandescenti in tutte le direzioni. In un batter d'occhio quella che era diventata da tempo la sua nuova famiglia era scomparsa e a causa del forte botto il tetto dell’hangar, sollecitato dal peso della neve, iniziò a cedere. Ebbe poco tempo per pensare, l’unica cosa che sapeva di dover fare era mettersi al sicuro e trovò riparo nel bunker adiacente alla struttura. Mi disse che, entrandoci, provò le stesse emozioni di quando venne a sapere di essere rimasto orfano e mi confessò di aver provato a porre fine alla sua vita, fortunatamente senza riuscirci. Uscì dall'hangar quando la bufera era terminata, trovando macchine dell’esercito e soldati, in quella che sembrava una disperata ricerca di superstiti. Da qui in poi non aveva ricordi lucidi e smise di raccontarmi la sua storia mentre io lo ascoltavo incredulo, senza saper cosa dire. Mi abbracciò calorosamente e mi ringraziò di averlo ascoltato e dato modo per la prima volta di confessare a qualcuno il suo segreto più grande. Ridacchiando mi chiese se avessi capito del perchè delle cicatrici sulle braccia e mi disse che si rivedeva in me, del resto entrambi eravamo stati lasciati soli e l'ambizione con la voglia di riscatto ci aveva portato a vivere qualcosa di nuovo, di unico. 

Questa confessione purtroppo coincideva con l'ultimo giorno di volontariato prima di tornare a servizio in miniera. Come da consuetudine salutai tutti gli ospiti, questa volta però definitivamente, maggior riguardo andò ovviamente verso l'ingegnere veterano. 

Da questa esperienza ne uscì rinato e feci drastici cambiamenti alla mia vita, detti le dimissioni come minatore, ripresi a seguire la mia vita relazionale trovando una compagna  e nuovi amici. Iniziai a lavorare come falegname e avendo molto più tempo libero, decisi di passare in quella casa di riposo dove circa due anni prima avevo prestato servizio di volontariato. Trovai lo stesso ambiente con gli stessi ospiti che avevo lasciato tranne per uno in particolare che mancava all’appello. Ad un'infermiera, con cui avevo stretto rapporto al tempo domandai dove fosse il famoso ‘signore dei maglioni’, mi rispose che pochi giorni dopo la mia partenza morì, ‘L’hai aiutato ad andarsene più leggero e te ne sarà grato per l’eternità’ mi disse. Uscì da quel posto in lacrime ma sollevato dalla consapevolezza che il suo ricordo mi avrebbe tenuto compagnia fino a quando non sarebbe arrivato il mio  momento di mettere bene e male sulla bilancia. 

 

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